La costa a sottovento

Qualche capitolo addietro si è parlato di un certo Bulkington, un marinaio alto, appena sbarcato, che incontrammo a New Bedford nella locanda.
Quella notte gelida d'inverno, quando il Pequod spinse la prua vendicatrice nelle onde fredde e maligne, chi mai dovevo vedere al timone: Bulkington!
Considerai con simpatia, ma con stupore e paura reverenziale, quest'uomo che in pieno inverno, appena tornato da un viaggio di quattro anni così pericoloso, poteva senza pace rimettersi in mare per un altro ciclo di tempeste. La terra pareva bruciargli sotto i piedi.
Le cose più degne di ammirazione sono quelle che non si possono esprimere, i ricordi indimenticabili non vogliono epitaffi; queste quattro dita di capitolo sono la tomba senza lapide di Bulkington.
Dico soltanto che accadeva di lui come di una nave squassata dalla tempesta, la quale miseramente avanzi lungo la costa, sottovento. Il porto le darebbe volentieri soccorso; il porto è pietoso, nel porto c’è sicurezza, comodità, focolare, cibo, coperte calde, amici e tutte le cose care alla nostra vita mortale. Ma in quella bufera il porto, la terra, sono per la nave il rischio più temibile. Essa deve fuggire ogni ospitalità; toccare terra una volta, anche soltanto sfiorando la chiglia, significherebbe far rabbrividire la nave da cima a fondo. Con tutta la sua forza essa apre ogni vela per allontanarsi da terra e, così facendo, lotta proprio contro i venti che volentieri la spingerebbero a riva e si getta di nuovo alla ricerca dei mari sconvolti, purché lontani da terra; per cercare salvezza si precipita direttamente nel pericolo: l’unico amico è il suo più spietato nemico!
Lo capisci ora, Bulkington? Sembra che tu veda barlumi di quella verità, intollerabile ai mortali; che ogni pensiero profondo e serio non sia altro che l’intrepido sforzo dell’anima per difendere l’aperta indipendenza del suo mare, mentre i venti più selvaggi del cielo e della terra cospirano per gettarla sulla spiaggia della schiavitù e del tradimento. Ma poiché solo nella mancanza di terra risiede la più alta verità, che è senza riva, infinita come Dio, così, meglio perire in quell’ infinito ululante che essere ingloriosamente lanciato sottovento, anche se questo volesse dire la salvezza.
Perché chi, allora, come un verme, vorrebbe strisciare vigliaccamente a terra?
Terrore dei terrori! E’ così vana tutta questa agonia?
Coraggio, coraggio Bulkington!
Stringi i denti e resisti, semidio!
Su dagli spruzzi della tua fine oceanica, balza la tua apoteosi!

(H. Melville, Moby Dick, cap. XXIII: "The Lee Shore" - Trad. di Cesare Pavese)

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